lunedì 9 dicembre 2013

Rivoluzione o involuzione?

Torino non è mai comparsa nei telegiornali come oggi. Forse neanche nel 2006 per le olimpiadi o l'anno scorso quando la juve ha vinto lo scudetto. Mia nonna non mi ha mai telefonato preoccupata così tanto per me.

A Torino oggi, dicono ci sia stata una rivoluzione. Il movimento dei forconi, dicono alcuni. Gente senza etichetta, senza partito, senza lavoro, dicono altri.

Fatto sta: il centro città è devastato. I mezzi erano tutti fuori servizio e sotto casa mia c'erano ragazzini usciti dal campo di calcio che spegnevano mucchi di spazzatura incendiata con le scarpe da ginnastica e le gambe nude. Alla signora che di fronte alle telecamere ha detto "sono qua perchè ho a casa un figlio di ventidue anni che dorme sul divano perchè è senza lavoro" diciamo: perchè non se l'è portato dietro? Forse che a lui non interessa fare la rivoluzione che sua madre fa a nome suo e per il suo futuro?

Forse oggi, gli appelli al governo perchè la smetta di fare gli interessi di pochi, i ragazzi con gli striscioni, le manifestazioni pacifiche sotto ai balconi dei potenti che decidono. Quella, delle prime ore dell'iniziativa, la potremmo chiamare rivoluzione. Perchè finalmente ci si è messa la faccia! La gente è scesa in piazza per i propri figli, per i propri nipoti; le persone dicevano "sono qui per mio figlio, per il suo futuro". Ma poi, si è degenerato. Sono arrivati i professionisti delle manifestazioni violente. Li abbiamo già visti a Roma due anni fa e ancora qui a Torino l'anno scorso. Con i caschi da moto, i cappucci alzati, i passamontagna neri, le catene a tracolla. Arrivano in squadre e si infiltrano tra la folla. Lampioni divelti, barricate sui ponti, spazzatura che esplode tra le vie, cantieri aperti e transenne trasportate fuori dal centro. A vedere quello che resta, verrebbe da dire che quella di oggi è stata una involuzione.Una involuzione della democrazia e un'involuzione dell'Italia che è stufa dei vecchi strumenti e delle vecchie retoriche. Un'involuzione della capacità di dialogare, un'involuzione di civiltà e di cittadinanza. Se per farti ascoltare devi urlare, allora forse ciò che dici non è abbastanza forte. Se per farti ascoltare devi tirare dei sassi, allora non c'è dubbio: non vuoi dire niente, ma solo fare del male.

Noi siamo d'accordo a metterci la faccia. Ma una faccia libera, senza cappucci e passamontagna! Una faccia sorridente, che guarda al futuro con speranza, nonostante tutto. Una faccia che non ha paura di mostrarsi, una faccia trasparente, una faccia giovane, una faccia coraggiosa, una faccia che sia nostra.